Certificati e visita medico-sportiva: tra rischi e benefici, per una scelta consapevole

La difesa del “decreto Balduzzi” da una parte del mondo della medicina dello sport offre uno spunto per riflettere sui tanti aspetti della certificazione per l’idoneità sportiva.
04/12/2013
  • Pirous Fateh-Moghadam
visita per l'idoneità sportiva

Immagine: 

(foto credit: www.ausl.vda.it)

Scorrendo la documentazione proveniente dal centro studi di Domenico Corrado a cui rimanda l’articolo di Francesco Di Matteo recentemente pubblicato su azioni quotidiane, scopriamo che l'incidenza di morte improvvisa nella popolazione è di 1 ogni 100.000 all'anno, 0,9 per 100.000 tra i non sportivi e 2,3 per 100.000 tra gli sportivi. Che cosa significa? Ipotizziamo che io sia un giovane non sportivo e immagino me stesso proiettato di un anno nel futuro: allora, su 100.000 possibili futuri me stessi, uno sarà deceduto per morte improvvisa. E se iniziassi a fare sport agonistico? Si aggiungerà un altro futuro me stesso morto sui 99.998 possibili futuri me stessi sani e salvi. Ma allora: corro il rischio di fare sport o è meglio lasciar perdere?

Frequenza del problema e percezione del rischio
Si converrà che anche solo porsi la domanda sarebbe espressione di una grave forma di sindrome ansiosa, tale da richiedere una terapia psicologica specifica. Se invece la questione viene posta non più in numeri assoluti o frequenze naturali ma in termini relativi, la faccenda assume un altro e più sinistro aspetto: il grafico dell'articolo infatti illustra non le frequenze naturali (sarebbe anche difficile fare un grafico con una scala a 100.000 in cui il passaggio da 1 a 2 sia visibile a occhio nudo), ma i rischi relativi (RR). Dai quali risulta, come viene enfatizzato anche nel testo, che facendo sport il rischio di morire è più che raddoppiato. In effetti, si passa da 0,9 a 2,3... di conseguenza la percezione del rischio cambia drammaticamente: forse allora è meglio fare una visita specialistica? L’enfasi sui rischi relativi, del resto, è uno dei possibili modi per manipolare la percezione del rischio, come illustra bene un'animazione interattiva a cura dello Statistical Laboratory dell'Università di Cambridge.

Efficacia della certificazione italiana
Nonostante l'evidente irrisorietà del rischio, in Italia dal 1982 è stata introdotta una visita obbligatoria per gli atleti. Ha avuto un impatto? Apparentemente sì: sempre secondo la documentazione citata da Di Matteo, l'incidenza della morte improvvisa in chi fa sport agonistico si è abbassata dal 3,6/100.000 del 1979-80 allo 0,4/100.000 del 2003-04; mentre nei non-agonisti è rimasta invariata all'1/100.000.

La prima cosa che salta all'occhio è che la prevalenza di partenza sia all'improvviso aumentata per motivi non dichiarati: non più il 2,3 ma 3,6 per 100.000. Ovviamente partendo con una prevalenza più elevata risulta più probabile osservare una diminuzione nel tempo. Come si è visto i tassi si basano su numeri assoluti molto piccoli, quindi pochi casi in più o in meno all'anno possono fare una grande differenza. Esattamente quanto è successo in uno studio analogo fatto in Israele. A differenza dei ricercatori italiani, gli studiosi israeliani si sono preoccupati di indagare meglio questo limite metodologico attraverso l'analisi dei tassi di un arco temporale più lungo, pre e post intervento. Risultato: la presunta efficacia del certificato è svanita nel nulla, come ha fatto notare anche Mark Estes del New England Cardiac Arhythmia Center a Boston nel suo intervento nell’attuale dibattito pro e contro la certificazione medico sportiva sul New England Journal of Medicine.

Ma per una valutazione spassionata di questi dati, oltre a ragionare sui numeri assoluti e sui tassi di prevalenza di partenza stranamente elevati, è importante controllare che nulla sia cambiato nella definizione dell'attività agonistica durante il periodo di osservazione. Se persone che prima venivano considerate “non agonisti” (per esempio, per la loro giovane età) fossero diventate “atleti” per un semplice cambio di definizione (per esempio, abbassando l'età in cui si diventa agonisti, come sembra sia successo nel corso del tempo in Italia) è naturale che il tasso di mortalità degli atleti diminuisca progressivamente - avvicinandosi logicamente sempre di più a quello dei “non agonisti” - anche in assenza di qualsiasi efficacia della certificazione.

Falsi positivi e valore predittivo dell'esame
Secondo i dati citati, servono 98.000 esami negativi per produrre un beneficio in 4 persone. Cosa ne è del restante 1.996 non viene meglio specificato. Assumiamo che siano i falsi positivi: un’ipotesi molto generosa (solo il 2% di falsi positivi), visto che il problema maggiore, riconosciuto anche dai fautori dello screening, è l'elevato numero di falsi positivi che notoriamente comporta. Quindi, facendo i conti: su 100.000 atleti mi aspetto di trovare circa 4 malati: facciamo finta che lo screening abbia una sensibilità del 100%, cioè che individui tutti quanti i malati (sappiamo che non è così, che ci sono comunque delle “bestie nere” che sfuggono all'esame con ecg). Rimangono quindi 99.996 atleti non malati di cui 98.000 sono negativi (un test con questi valori avrebbe una specificità del 98% - quindi molto alta). Ma tra questi atleti non malati troviamo comunque 1.996 persone che risultano falsamente positivi e che vengono così inviati a eseguire ulteriori accertamenti (che possono a loro volta creare danni: ansia che dura anche oltre la smentita della diagnosi iniziale, disturbi nel rapporto genitore-bambino, danni fisici nel caso di esami invasivi ecc).

In tutto ciò, quale sarebbe il valore predittivo positivo? Cioè che cosa rispondere alla domanda preoccupata di un genitore: «ma quanto è probabile che mio figlio abbia davvero la malattia che preclude l'attività fisica per il rischio di morte improvvisa, dato l'esito positivo dell'esame?». Risposta: ci sono 4 vite salvate su tutti i positivi, cioè su 2.000, ovvero: «Tranquilli, la probabilità che venga confermata la diagnosi è solo di 1 caso su 500…». Fin qua nessun problema, ma cosa rispondere poi all'eventuale domanda sul senso di un esame con un valore predittivo così basso? Occorre di nuovo ricordare che questi calcoli si basano su un’ipotesi generosissima, di sensibilità e di specificità e su un numero di falsi positivi bassissimo (2%): caratteristiche in verità irraggiungibili. Quindi la situazione reale sarebbe ancora più sfavorevole.

Numero necessario da trattare
Qual è dunque il numero necessario da trattare (Nnt)? Si devono esaminare 100.000 persone per produrre un beneficio a 4: in altre parole, 25.000 per persona beneficiata (di cui almeno 500 hanno subito un potenziale danno). Per fare qualche confronto: per la diagnosi precoce del cancro alla mammella attraverso lo screening mammografico, sul quale è in atto un vivace dibattito sul rapporto rischi-benefici, secondo una revisione della Cochrane il Nnt è di 2.000 e, per rimanere nel campo cardiologico, per prevenire le malattie cardiovascolari con la dieta mediterranea il Nnt è di 61 (e i 60 che non hanno avuto benefici cardiologici hanno almeno mangiato bene...), come è emerso da un recente studio pubblicato sul New England Journal of Medicine.

Occorre inoltre ricordare che il dibattito internazionale è sull'opportunità o meno di una vista preliminare di atleti che svolgono attività agonistiche di alto livello. Nessuno, fatta eccezione per qualche medico sportivo o cardiologo italiano, si azzarda a proporre una pratica già dubbiosa per gli atleti a coloro che vogliono svolgere attività non agonistiche o persino ludico-motorie.

La proposta di una “fact box”
Cosa fare quindi? In ogni caso è doveroso illustrare in maniera trasparente e completa le diverse opzioni, che rispondono alle domande da porsi prima di avviare programmi di sanità pubblica. Domande che Paolo D'Argenio ha ben elencato nel suo testo sui presupposti etici. Per questo serve la collaborazione di tutti, come ricorda lo stesso Di Matteo. Lanciamo quindi a lui e a tutti gli interessati la proposta di costruire insieme una “fact box” sulla certificazione medica e sull'ecg nella visita medico-sportiva, partendo da dati più certi e facendo calcoli più precisi rispetto a quanto fatto a mo’ di esercizio in questa sede.

Nelle fact box si delineano e si contrappongono due scenari - per esempio “certificazione” e “non certificazione” - descrivendo per entrambi rischi e benefici con l'utilizzo di icone e grafici facilmente comprensibili che illustrano una serie di elementi: la prevalenza del problema, il numero di persone che avrebbero un beneficio per la diagnosi precoce, il numero di persone con una diagnosi falsamente positiva (compreso il numero di persone falsamente positive che subirebbero un danno durante gli esami di approfondimento), il numero di persone sottoposte all'esame che non avrebbero comunque mai avuto un problema. Per un esempio concreto di fact box, si veda quella sul test con Psa preparata dall’Harding Center for Risk Literacy di Gerd Gigerenzer, direttore dell'Istituto Max Planck per lo svliluppo umano e le scienze della formazione di Berlino.

Attraverso l'utilizzo delle fact box è possibile informare in maniera completa su rischi, benefici e costi delle procedure proposte, de-ideologizzare il dibattito e, infine, mettere decisori e società civile nelle condizioni di capire e scegliere in maniera autonoma sull'opportunità di certe pratiche ed esami. In questo senso si tratta di una vera e propria azione di promozione della salute che, come è noto, non ha l'obiettivo di tutela attraverso misure paternalistiche dettate da esperti, ma di conferire maggiore autonomia e potere decisionale all'individuo e alla collettività per raggiungere un migliore stato di salute.


La redazione di azioni quotidiane intende continuare ad approfondire l'argomento e alimentare il dibattito, raccogliendo ulteriori dati, riflessioni e contributi utili a costruire la fact box sulla certificazione e il ricorso a ecg nella visita medico-sportiva.

 

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