Le implicazioni e i presupposti etici

Efficacia, appropriatezza, equità, universalità, sostenibilità: una riflessione sui criteri che ogni programma di sanità pubblica dovrebbe sempre rispettare.
21/10/2013
  • Paolo D'Argenio
etica è sanità pubblica

Il dibattito sull’obbligo di certificazione per l’attività motoria inaugurato dai recenti, controversi, interventi di legge sembra aver solo sfiorato una questione che è invece centrale, soprattutto in una prospettiva di sanità pubblica. E cioè: è accettabile sul piano etico obbligare chi fa attività fisica e sportiva a munirsi di un certificato medico?

Decisioni paradossali
Sappiamo ormai che l’attività fisica è fortemente associata allo stato di salute. Sappiamo anche che molti italiani si muovono troppo poco e questa è una delle cause principali di anni di vita potenziale persi per mortalità prematura e disabilità. Ma, rispetto ad altre condizioni come fumo, obesità o ipertensione arteriosa, sarebbe un fattore più facilmente modificabile: è per questo che alla sedentarietà dovrebbe essere data la massima priorità nelle politiche per la salute in Italia. Di conseguenza, ci aspetteremmo dibattiti su come ridurre ed eliminare gli ostacoli che non consentono ai bambini di praticare attività fisica, su come incentivare la mobilità attiva dei cittadini, come aumentare le ore dedicate all’attività fisica a scuola o come favorire il cammino e la ginnastica dolce per gli anziani. E invece, nel corso dell’ultimo anno, abbiamo visto il Ministero della salute e il Parlamento preoccupati soprattutto dei rischi che possono essere connessi alla pratica dell’attività fisica, intenti a escogitare nuove certificazioni, visite ed esami obbligatori che non esistono in nessun altro Paese. Si tratta di decisioni adottate in sede legislativa e amministrativa che provocano importanti effetti sulla vita dei cittadini, sulle strutture coinvolte (palestre, piscine, centri sportivi e simili) e anche sui professionisti chiamati a certificare l’idoneità.

Beneficere e non maleficere
Non si intende qui discutere dell’utilità per chi voglia fare un’attività sportiva, soprattutto se ha  qualche acciacco, di rivolgersi a un professionista che possa consigliare e indirizzare verso le attività più adatte. Il problema è che queste disposizioni delineano un vero e proprio programma di sanità pubblica obbligatorio, finalizzato a prevenire rischi che non vengono specificati, basato su visite ed esami medici della cui efficacia non sono fornite prove, e dei cui possibili effetti negativi - che hanno costi che non sono stati stimati - non viene fatto il benché minimo cenno.

Ma ci avete pensato bene? Una norma limitativa della libertà dei cittadini, che si rivolge ad una platea che può arrivare a circa 18 milioni di persone, avrebbe dovuto essere ben ponderata sotto il profilo dell’etica. Sarebbe stato necessario, e sarebbe tuttora utile, sottoporre ad attenta analisi il programma che costringe anche chi fa sport non agonistico a munirsi di certificato medico, adottando un approccio che valuti l’importanza del problema di salute che si intende prevenire, l’efficacia della visita e degli esami preventivi, gli effetti negativi prevedibili per la salute e quelli sull’equità. L’obiettivo è arrivare a una giustificazione sul piano etico, dimostrando che sono rispettati il principio di “beneficenza” e quello di “non maleficenza”.

Domande cruciali
Uno strumento per condurre analisi simili è per esempio quello messo a punto da Nancy Kass della Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health di Baltimora. Un sistema che si basa sulle risposte alle seguenti domande e riflessioni:

  • obiettivi di miglioramento della salute pubblica perseguiti dal programma:
    • avete pensato a quanto è importante il danno che volete prevenire, in termini di frequenza e gravità?
    • si tratta davvero di un problema prioritario per la salute pubblica?
  • efficacia del programma nel conseguire gli obiettivi di salute prefissati:
    • avete ragionato sulla capacità di una visita medica di evidenziare condizioni che pregiudichino l’attività sportiva?
  • effetti negativi conosciuti o potenziali del programma:
    • avete riflettuto sul fatto che un programma simile ha costi che, nel complesso, possono raggiungere o superare il miliardo di euro, mentre l’Italia attraversa una terribile crisi economica?
    • avete riflettuto sul fatto che visite ed esami come l’elettrocardiogramma comportano sempre una certa percentuale di risultati “falsi positivi” che provocano paure e altri esami inutili?
  • possibilità di minimizzare gli effetti negativi ed eventuali approcci alternativi:
    • avete preso in esame possibili programmi volontari, volti a migliorare le competenze dei sanitari e dei praticanti rispetto ai pericoli connessi all’attività sportiva?
    • avete studiato che cosa si fa nel resto del mondo?
  • equità:
    • avete dato uno sguardo ai dati Istat che mostrano come sopra i 24 anni, nel nostro Paese, la pratica dell’attività sportiva da parte delle persone con poca istruzione è estremamente ridotta?
    • non si rischia di peggiorare la situazione con questo nuovo obbligo?
    • avete preso in considerazione misure per aiutare le persone più povere e meno istruite a superare questi ostacoli che limitano e riducono ulteriormente le loro possibilità fare attività fisica e sportiva?

Bisogna invitare tutti coloro che hanno a cuore la salute pubblica in Italia a porsi seriamente queste domande, cercando di rispondere in modo documentato.
 

Paolo D’Argenio è un medico libero professionista, consulente in sanità pubblica.

Azioni quotidiane continuerà a seguire la vicenda, stimolare il dibattito e promuovere nuove riflessioni, ospitando approfondimenti e interventi per sensibilizzare operatori, decisori e opinione pubblica su un tema che continua ad avere forti implicazioni sulla salute e la vita di tutti i giorni.

 

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