Promuovere l’attività fisica: dov’è il problema?

Un articolo rilancia il dibattito sull’efficacia delle campagne a favore di uno stile di vita attivo. Ma cambiare comportamento non è facile e dipende da tanti fattori, non solo dal "valore" salute.
04/07/2013
  • Maria Rosa Valetto
Attività fisica e benessere

Le strategie di promozione dell’attività fisica si rilevano meno vincenti delle attese. Ma prima di archiviarle come mission impossible, vale la pena ricalibrare il messaggio da una promessa di salute proiettata nel futuro a una prospettiva più immediata di benessere psicofisico, nel rispetto di una definizione di salute a 360 gradi ormai universalmente accettata.

Fatti e cifre
La meta sembra ampiamente alla portata: 150 minuti di esercizio fisico moderato o 75 minuti di esercizio intenso a settimana (queste le raccomandazioni dell’Oms) non sono altro che una mezz’ora a piedi a passo sostenuto tutti i giorni, o un paio di sessioni di attività sportiva amatoriale. Stando ai dati forniti dall’Atlante dell’Oms è invece un traguardo ben lontano: in 72 dei 159 Paesi inclusi nell’indagine, più di un terzo della popolazione è sedentaria. Le cose vanno anche peggio nelle Americhe e nel Mediterraneo orientale, dove la “pratica” della sedentarietà supera il 40%. Per l’Italia fanno da riferimento le rilevazioni del sistema di sorveglianza Passi, che collocano da almeno 5 anni la quota della popolazione italiana sedentaria intorno al 30%.

Eppure la sedentarietà è uno dei determinanti più frequenti e “insistenti” dello stato di salute (ovviamente in senso sfavorevole) e sulla mortalità della popolazione mondiale. D’altra parte, l’attività fisica contribuisce ad allontanare almeno una ventina di fattori di rischio e di malattia: muoversi comporta benefici sulla psiche, migliora il benessere e la qualità della vita, attenua i sintomi della depressione e probabilmente anche dello stress, della solitudine e dell’ansia. Inoltre rinforza l’autostima e l’immagine di sé, con ricadute positive nelle relazioni sociali e nella gestione della quotidianità. Infine, influenza positivamente altri stili di vita salutari, tra i quali abitudini dietetiche corrette e la rinuncia al fumo di sigaretta ed evita, soprattutto nei giovani, comportamenti a rischio provocati da sostanze di abuso e atteggiamenti violenti.

Purtroppo le cifre recenti sono da bollettino di guerra: la sedentarietà è oggi chiamata in causa in oltre 3 milioni di decessi ogni anno e nella perdita, sempre su base annua, di 69 milioni di anni in buona salute (Daly). Ciò che preoccupa è soprattutto il vertiginoso aumento rispetto agli stessi dati di dieci anni fa. Un decennio in cui non solo sono state effettuate stime precise su benefici e rischi per la salute di uno stile di vita più o meno attivo, ma c’è stato anche un impegno coordinato e sinergico di tutte le figure coinvolte nella promozione dell’attività fisica: dai decisori agli operatori sanitari, fino alla famiglia o alla scuola. E uno degli strumenti su cui si è puntato sono state spesso le campagne. Ma che sembra aver portato a un “nulla di fatto”.

È tutto un complesso di cose
Non è facile giustificare un risultato così parziale, a fronte di un intervento di salute apparentemente semplice: non invasivo, con buone prove a supporto, di immediata comprensione da parte di chiunque e piuttosto economico. Ma la chiave sta proprio in quell’“apparentemente”: «La sedentarietà è un comportamento complesso e multifattoriale, i cui determinanti cambiano molto da Paese a Paese», afferma Philipe de Souto Barreto dell’Università di Tolosa autore di un recente editoriale pubblicato sul bollettino dell’Oms. E a conclusioni simili sono giunti in molti, individuando tra i determinanti quelli più strettamente individuali, come l’età e il genere, ma anche l’autostima e la preesistenza di malattie disabilitanti o debilitanti, e quelli di contesto, come la situazione ambientale (l’urbanistica, gli spazi verdi, la sicurezza dei luoghi, il traffico), la condizione sociale economica e culturale. Una combinazione di fattori, difficili da misurare – così come difficili da misurare sono i benefici prodotti dal movimento – che limita di fatto a una buona fetta della popolazione mondiale l’accessibilità all’attività fisica e che vanifica gli sforzi per la promozione.

Nuove leve contro la sedentarietà
Fino a oggi gli operatori sanitari hanno cercato di motivare le persone facendo leva sui benefici per la salute, a volte anche con un atteggiamento prescrittivo di livelli e “quantità” di attività fisica che comunque molti ritengono irraggiungibili. Questo approccio viene ripreso anche nelle campagne pro motion, molte delle quali mettono l’accento sulla prevenzione delle malattie croniche. Probabilmente è aumentata la consapevolezza sugli effetti positivi del movimento, ma cambiare i comportamenti individuali è un passaggio in più, non scontato.

Per tradurre tutto quanto si è seminato in stili di vita virtuosi e, finalmente, verificarne con misure obiettive i benefici, vanno quindi esplorate altre strade. L’editoriale suggerisce di far leva su nuovi argomenti più gratificanti, trasferendo la prospettiva dalla speranza di ammalarsi di meno alla promessa di vivere meglio. Tra l’altro questa idea ha il vantaggio di non dipendere dalla “dose” di attività fisica raggiunta, ma dalla percezione individuale della gratificazione e del benessere prodotti da livelli anche modesti di esercizio. «È un messaggio in teoria più accettabile, in quanto più flessibile, più adattabile alla variabilità individuale e di contesto, quindi potenzialmente più persuasivo» suggerisce l’autore, affrettandosi comunque a precisare che le linee guida non vanno chiuse nel cassetto e devono restare l’obiettivo di riferimento in un processo di avvicinamento graduale alle soglie e agli standard riconosciuti come efficaci.

Altrimenti c’è l’illusione, sempre in agguato, di sentirsi in forma e attivi con sforzi minimi, per non dire risibili. Chi non ricorda l’immagine della domenica anni ’70 dell’italiano medio che si aggira in tuta e ascolta dalla radiolina “Tutto il calcio minuto per minuto”: «Amici sportivi, buon pomeriggio…». Un’immagine che, forse, così demodé non è ancora.

 

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