Attività agonistica: obiettivo salute o atleta perfetto?

Prima di fare sport agonistico, i giovani devono superare una serie di prove e visite: razionale, obiettivi, efficacia.
21/10/2013
  • Alberto Baldasseroni
attività sportiva agonistica

In Italia, sono circa 1 milione e 200 mila i ragazzi fino a 18 anni che svolgono gare sportive ufficiali almeno una volta all’anno. Per questa ampia fascia di giovani atleti, gli accertamenti di controllo per la partecipazione alle gare sono tutti a carico del Servizio sanitario nazionale, essendo inseriti dal 2003 nei Livelli essenziali di assistenza (Lea). Per un impegno economico pari a circa 74 milioni di euro all’anno: 60 milioni per la visita di base e 14 per gli approfondimenti. Si tratta quindi di un problema rilevante sia per il numero delle persone coinvolte sia per l’impatto economico. E anche se il dibattito alimentato dalle controverse norme di legge recentemente approvate non coinvolge direttamente l’attività agonistica, la questione merita comunque un’attenta valutazione per quanto riguarda il suo bilancio in termini di efficacia e benefici attesi.

Gli esami di idoneità per lo sport
A livello di sanità pubblica il dossier “Fidippide”, pubblicato nel 2005 dall’Osservatorio epidemiologico dell’Agenzia regionale di sanità della Toscana, è un ottimo punto di partenza per un’analisi complessiva degli esami da eseguire per l’avviamento all’attività sportiva e il periodico controllo dei giovani sotto i 35 anni. La soglia dei 35 anni è quella che convenzionalmente discrimina due gruppi che si differenziano per quanto riguarda le cause di sudden cardiac death, la cosiddetta sindrome da “morte improvvisa”: il principale, anche se non unico, esito di salute che questo genere di accertamenti intende prevenire.

Fin dalle sue origini, che risalgono agli anni Venti-Trenta del secolo scorso e che conoscono un forte sviluppo con la nascita della medicina dello sport e le Olimpiadi di Roma del 1960, il razionale alla base dell’obbligo di eseguire accertamenti preliminari sta nella convinzione che si possa stabilire - attraverso visita ed esami - l’idoneità a svolgere una determinata disciplina. E orientare così il giovane a quella più adatta alle proprie caratteristiche. A seconda dello sforzo e dell’impegno cardio-respiratorio richiesto, cambiano infatti tipologia e frequenza dei test da sostenere. Il rapporto analizza il programma di sanità pubblica per l’avviamento allo sport (visita medica, screening cardiologico, screening di funzionalità respiratoria e muscolo-scheletrica), delineando un quadro complessivo di efficacia, costi e risultati della sua effettiva applicazione.

Un bilancio, anche economico
Possiamo intanto leggere e analizzare i risultati ottenuti dal programma, così come emerge dall’esperienza pratica dei servizi sul territorio. Il periodo preso in considerazione è infatti abbastanza ampio (va dall’inizio degli anni Ottanta, quando è iniziato il monitoraggio delle attività in alcune Regioni) e consente un’analisi seria e ponderata. Se prendiamo in considerazione il numero di giudizi di non idoneità espressi in seguito alle visite mediche, si nota un’estrema variabilità. Che cosa significa? Dal momento che nulla fa pensare a motivazioni di ordine epidemiologico, è possibile che esistano differenze notevoli negli standard di prestazione e nei metri di giudizio dei vari centri che rilasciano le idoneità. Del resto ve ne sono a centinaia in tutta Italia che svolgono questa attività, sia pubblici sia privati. E il numero di ragazzi giudicati non idonei è sempre più basso nelle strutture private convenzionate rispetto ai Centri di medicina dello sport di secondo livello o di riferimento territoriale.

Un altro dato interessante che emerge dai bilanci regionali riguarda l’esito dei ricorsi contro il giudizio di primo grado di non idoneità: solo il 35% dei casi viene confermato in secondo grado, una cifra che consente di stimare una percentuale di “falsi positivi” intorno al 65%. Tenendo poi conto che soltanto un quarto dei non idonei presenta ricorso e ipotizzando che molti di coloro che non fanno ricorso spesso proseguono comunque nell’attività, è lecito sollevare più di un dubbio sul reale rispetto - e quindi sulla reale efficacia -della normativa in vigore.

Dati scientifici e raccomandazioni
Alla prova delle evidenze disponibili e di una valutazione costi-benefici, dunque, questi esami preliminari quanto si dimostrano davvero utili ai fini della tutela della salute? E quali raccomandazioni se ne possono trarre a livello di sanità pubblica? Dall’analisi e dal confronto dei dati di letteratura medico-scientifica, emerge come i test proposti per l’apparato muscolo-scheletrico e respiratorio non aggiungano nulla all’anamnesi e a un accurato esame obiettivo. Diverso invece il discorso relativo alla visita medica e allo screening per l’apparato cardiovascolare, che svolgono un ruolo chiave per stabilire l’idoneità o meno alla pratica sportiva.

In termini di raccomandazioni, questo significa che la visita può essere mantenuta. Andrebbe anzi potenziato il ruolo del medico rispetto ai consigli che può fornire al giovane per aumentare il grado di soddisfazione e la probabilità di continuare a fare attività fisica il più a lungo possibile (che fa bene e previene molte malattie). Lo screening preliminare può essere mantenuto anche nell’ambito cardiovascolare, a patto di sostenere gli sforzi già in atto per una sua continua valutazione. Nelle aree in cui non sono in corso questi studi di efficacia, può essere comunque proposto garantendo un adeguato controllo della qualità della prestazione. Ogni offerta al di fuori di queste condizioni non sembra giustificata né suffragata da prove scientifiche.

Oltre la tutela della salute
Ma, pur guardando al di là dei costi e delle prove scientifiche di efficacia, l’idea che eseguire screening a tappeto sia il modo migliore per fare prevenzione è alimentata anche da un altro equivoco. E cioè che gli esami preliminari non servano solo a salvaguardare l’integrità dell’atleta, ma anche a valutare l’attitudine psicofisica del giovane nei confronti di una certa disciplina. Come se fosse una specie di strumento “eugenetico” per selezionare i futuri campioni nelle diverse specialità. È da questa confusione, spesso cercata con insistenza e perseguita con malizia, che nascono molti degli equivoci: perché, per esempio, misurare la vista a tutti coloro che vogliano fare tiro con l’arco? Quali benefici si otterrebbero, in termini di salvaguardia della salute, in vista degli impegni sportivi? Nessuno. E ancora: cosa c’entra la visita oculistica con la tutela della salute dell’atleta che dovrà dedicarsi al tiro con l’arco? Nulla. Certo, se invece il reale obiettivo fosse selezionare un atleta particolarmente adatto a tirare con l’arco, probabilmente sarebbe meglio averne in squadra uno che ci vede bene… anche se, alle ultime Olimpiadi di Londra nel 2012, ha fatto scalpore la storia di un arciere sudcoreano ipovedente, che ha vinto la medaglia di bronzo e a livello individuale ha battuto il record di centri! E allora, a maggior ragione: se l’obiettivo è “semplicemente” la salvaguardia della salute, perché offrire esami a tappeto a tutti coloro che vogliano fare sport?

Favorire l’attività motoria
Applicare un simile modello alle attività non agonistiche, come sembrava indicare la direzione presa inizialmente dal legislatore con il cosiddetto decreto Balduzzi, sarebbe quindi paradossale. È chiaro che nelle gare che si svolgono in ambienti predisposti dalle società (ma si può fare agonismo spinto anche al di fuori di questi contesti, per fortuna c’è ancora libertà di scelta), gli organizzatori hanno grandi responsabilità. Nei confronti dell’integrità psicofisica degli atleti, ma anche per garantire le generali condizioni di sicurezza e allestire gli opportuni presidi di soccorso ed emergenza. C’è però una bella differenza tra chi svolge “attività sportiva” e la popolazione generale che semplicemente “vive”. Camminare, sia pure a passo svelto, per una mezz’ora al giorno; concedersi una nuotata due volte alla settimana in piscina; fare qualche chilometro in bicicletta la domenica. Tutte queste non sono attività da “tutelare” nella prospettiva di abbattere il rischio di eventi pericolosi per la salute. Sono piuttosto attività vitali come respirare, che andrebbero favorite semplicemente perché fanno bene.

In conclusione, quindi, espandere la sfera di influenza della medicina dello sport al di fuori dell’ambito agonistico non è solo un tentativo maldestro di irreggimentare, burocratizzare e medicalizzare la “naturale” e quotidiana propensione all’attività motoria di ognuno di noi. È anche un inutile e costoso aggravio per la macchina del Servizio sanitario nazionale, già rallentata e messa a dura prova tutti i giorni da tagli e razionalizzazioni.
 

Alberto Baldasseroni, oggi responsabile operativo del Centro regionale infortuni e malattie professionali (Cerimp) della Regione Toscana, è uno degli autori del dossier “Fidippide”.

 

2 Commenti

Idoneità agonistica

In qualità di medico dello sport penso che sia un equivoco (forse ingenerato dalla gratuità delle visite per minori e disabili) considerare l'attuale sistema di visite per l'idoneità agonistica come un programma di sanità pubblica: non lo è per l'evidente motivo che praticare uno sport agonistico è una scelta, non un obbligo! Le visite di idoneità alla guida di autoveicoli, per fare un esempio, sono forse un programma di sanità pubblica? Rispondono forse a evidenze scientifiche di efficacia?
Nel concetto di idoneità, sulla cui reale efficacia si dovrebbe effettivamente aprire un ampio dibattito, sono compresi sia l'aspetto della sicurezza (non c'è un aumento del rischio a causa di eventuali patologie) sia quello della capacità (essere in grado di svolgere una certa attività): quest'ultimo non al fine della "prestazione d'eccellenza" ma del possesso di indispensabili requisiti di base. Per restare all'esempio citato, l'esame del visus serve a verificare un minimo di acutezza visiva necessaria per vari sport (se no ... non vedo il bersaglio o la palla in movimento!), a consigliare un'eventuale correzione, ad approfondire eventuali altri difetti (alcune patologie oculari controindicano alcuni sport, l'uso di occhiali non è ammesso in altri).
Certamente la legge di riferimento è ultratrentennale e necessiterebbe di una revisione in chiave più moderna, come sottolineato dal documento elaborato sul tema dalle Regioni, cioè dovrebbe rivolgersi non solo all'eventuale esclusione di pochi dalla pratica agonistica, ma anche e soprattutto alla promozione e all'avviamento allo sport dei più giovani: con questa visione la visita del medico dello sport sarebbe un momento importante (e unico nel panorama attuale del SSN) per la prevenzione e per la promozione della salute.
In particolare penso che sarebbe molto più utile offrire una visita medico sportiva a tutti i bambini di una certa fascia di età, anzichè aspettare l'invio di quelli iscritti alle società sportive secondo regole autonomamente stabilite dalle varie Federazioni con criteri che non sempre rispondono a evidenze scientifiche di tutela della salute.

Dr. Maurizio Gottin
Responsabile SSD Medicina Sportiva Asl To4

Idoneità agonistica

Lasciando da parte la questione se il programma di visite per l'idoneità agonistica sia o meno un programma che interessa la sanità pubblica, condivido lo spirito delle osservazioni fatte. Che cioè sia opportuno "orientare" da parte di un medico in possesso della dovuta esperienza l'attività sportiva più consona ai giovani che vi si avvicinano. Salvo poi lasciare la scelta ultima all'interessato/a o ai suoi genitori. L'esempio dell'arciere ipovedente (ma olimpionico) voleva solo sottolineare che, a patto che non si creino rischi dimostrabili per terzi, le limitazioni alla scelta degli sport da praticare dovrebbero riguardare soltanto casi di dimostrato rischio per la propria incolumità. Mentre invece le lunghe liste di esami, specifici per ogni sport, lasciano ampie zone di dubbio su questo aspetto.

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