Trasporti e mobilità sostenibili: verso nuove opportunità occupazionali

Che cos’è il “trasporto sostenibile”? Qual è il suo impatto sulla vita dei cittadini europei? Un nuovo documento dell’Oms incoraggia modelli urbani alternativi. Ambizioso il messaggio per i decisori: gli investimenti in politiche che sostengono la mobilità attiva non sono utili solo in termini di promozione di stili di vita sani, o di miglioramento della qualità dell’ambiente cittadino. Possono rappresentare anche inedite opportunità occupazionali per creare nuovi posti di lavoro, soprattutto a livello locale.
15/04/2014
  • Stefano Menna
Jobs in green & healthy transport

Immagine: 

La copertina del nuovo report a cura dell’Oms Europa

Tram, bike sharing, autobus elettrici, metropolitane, piste ciclabili. La mobilità sostenibile non è più solo una leva per la promozione di stili di vita salutari e di un ambiente sano: oggi può diventare un vero e proprio affare. Un volano per lo sviluppo e la creazione di nuovi posti di lavoro, in un momento in cui la stagnazione economica e una politica di rigore frenano la ripresa nel vecchio continente. A sottolinearlo è il nuovo documento “Unlocking new opportunities - Jobs in green and healthy transport”, appena pubblicato dall’ufficio della Regione europea dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e presentato a Parigi in occasione del “Fourth High-level Meeting on Transport, Health and Environment (4hlm)” (14-16 aprile 2014). Il report è frutto della collaborazione tra i membri della “The Pep (Transport, Health and Environment Pan-European Programme) partnership” (organismo transnazionale nato con lo scopo di integrare le questioni relative ad ambiente e salute nelle politiche dei trasporti) e i partecipanti al meeting di ottobre 2013 a Parigi.

Costi e impatto dei trasporti “tradizionali” su ambiente e salute
Secondo i dati 2013 della Commissione europea, nei Paesi dell’Ue il volume di affari del settore dei trasporti rappresenta il 10,5% del prodotto interno lordo (Pil) e dà lavoro a oltre 10 milioni di persone: circa il 5% del totale della forza lavoro. Si tratta perciò di un settore vitale per l’economia, ma con un grosso lato oscuro: l’impatto negativo su ambiente e salute. Vediamo perché.

Sul fronte green, è del 13 aprile la notizia del fallimento degli obiettivi di riduzione globale dei gas serra entro il 2020. Il prossimo traguardo, secondo l’Ipcc (il panel intergovernativo sui cambiamenti climatici) è fissato per il 2030, quando non bisognerà superare la soglia dei 50 miliardi di tonnellate di anidride carbonica immesse in atmosfera, in virtù di un taglio di almeno il 40% delle attuali emissioni. Un programma assai ambizioso, ma inevitabile per non rendere irreversibili gli effetti dei cambiamenti climatici sul nostro pianeta. Programma a cui dovrà dare un contributo importante anche la mobilità visto che, stando alle cifre dell’Agenzia europea dell’ambiente, i soli trasporti su strada sono responsabili del 17,5% di tutte le emissioni di gas a effetto serra in Europa. Una percentuale che sale fino al 24% se consideriamo anche il Nord America.

Ma traffico e mobilità a motore fanno danni anche alla salute: incidenti, inquinamento, rumore e ostacoli all’esercizio fisico sono problemi sempre più diffusi nelle aree urbane del vecchio continente. Le stime del 2013 dell’Oms Europa dicono che i cittadini europei perdono circa 9 mesi di vita soltanto per l’esposizione al particolato. Non solo: agli incidenti stradali sono imputabili oltre 120 mila morti premature ogni anno, con costi che possono arrivare fino al 3% del Pil. Inoltre, sono ben 70 milioni le persone che in tutta Europa sono costrette a subire livelli eccessivi di rumore per colpa del traffico. Infine, quando scoraggia prendere la bicicletta o camminare a piedi, una cattiva politica della mobilità può ridurre le occasioni per fare attività fisica e ostacolare l’adozione di stili di vita che invece potrebbero prevenire tante malattie: oggi in Europa la sedentarietà, associata a quasi un milione di morti ogni anno, è un vero e proprio killer silenzioso.

Verso una mobilità più sostenibile
Se i trasporti tradizionali si mangiano circa il 4% del Pil europeo, al contrario una “mobilità nuova” - capace di incentivare i mezzi pubblici, la pedonalizzazione dei centri urbani e l’uso della bicicletta per gli spostamenti quotidiani - dimostra di essere molto più sostenibile. Sia sotto il profilo economico, sia sotto quello dell’impatto su ambiente e salute. Secondo gli autori del report, queste politiche sarebbero ancora più efficaci se accompagnate da alcune misure di controllo del traffico urbano, come i ticket per entrare in centro città o l’allestimento di parcheggi di scambio.

Si tratta di scelte capaci di creare nuove opportunità di lavoro nell’ambito dei trasporti pubblici e dei trasporti attivi. Così come in tanti altri settori, capaci di rendere la vita in città più ecologica, salutare, sicura ed efficiente. Per esempio, gli esperti dell’Oms sono riusciti a calcolare il numero di nuovi posti di lavoro (e il relativo “guadagno” in termini di salute) generabili grazie alle scelte a sostegno della ciclabilità. Se almeno una grande città di ciascun Paese europeo adottasse il modello di Copenhagen (capitale leader della mobilità a pedali, dove il 26% degli spostamenti avviene su due ruote), si creerebbero decine di migliaia di nuovi posti di lavoro e, ogni anno, si potrebbero evitare circa 10 mila decessi.

Il quadro italiano
E nel nostro Paese? Al di là delle dichiarazioni di intenti, c’è ancora parecchio da fare se si parla di tram, biciclette o mobilità nuova. I dati Istat, sovrapponibili a quelli del Settimo rapporto di Euromobility sulla mobilità sostenibile, parlano chiaro: nel 2012 la domanda di trasporto pubblico (numero di passeggeri trasportati) è scesa del 7,4% rispetto all'anno precedente (quando era già diminuita dello 0,2%). D’altronde è in calo anche l'offerta del trasporto pubblico: -3,9% i posti-km per abitante erogati dall'insieme dei mezzi. Aumenta invece, anche se di poco, la domanda di trasporto privato e sale dello 0,5% il tasso di motorizzazione complessiva. Non a caso l’Italia è di gran lunga uno dei Paesi più motorizzati d’Europa, con 609 autovetture ogni mille abitanti: siamo secondi solo al Lussemburgo (658 veicoli) e superiamo di ben il 30% il dato medio, pari a 482.

Per quanto riguarda le piste ciclabili, nonostante il trend in crescita degli ultimi anni, per Legambiente le città italiane rimangono ancora molto indietro rispetto alle capitali europee: basti pensare che tre sole città (Helsinki con 1.500 km, Stoccolma e Hannover con 750 km ciascuna) quasi eguagliano i circa 3.300 km di tutti i capoluoghi di provincia italiani.

L’impegno delle istituzioni
Qualche segnale incoraggiante comunque non manca. Il ministero dell’Ambiente a inizio aprile ha aderito all’edizione 2014 della Settimana europea della mobilità sostenibile, promossa dalla Commissione europea per sostenere l'utilizzo della bicicletta, del trasporto pubblico e di qualsiasi altro mezzo a basso impatto ambientale per decongestionare il traffico, diminuire l'inquinamento, sostenere l’attività fisica e la qualità della vita urbana. È interessante il fatto che, per concorrere all’assegnazione del premio, gli enti locali questa volta debbano attuare almeno una nuova misura e renderla permanente.

C’è poi l’intergruppo parlamentare per la mobilità ciclistica che, di concerto con il ministero dei Trasporti e il Governo, sta lavorando in modo “multi-partisan” su diversi fronti: dalla riscrittura della legge sulle piste ciclabili a una riforma complessiva del Codice della strada che consideri la bicicletta e i piedi come mezzi di trasporto urbani da valorizzare; dal riconoscimento dell’infortunio in itinere e l’emanazione di una legge quadro nazionale sulla ciclabilità all’abbassamento a 30 km/h del limite di velocità su tutte le strade urbane. Il processo di cambiamento, seppur a rilento, si è dunque messo in moto: saper cogliere le opportunità della mobilità sostenibile sarà ora compito di operatori e amministratori, a cominciare da quelli locali.

 

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