Perché l’anziano deve essere attivo

L’invecchiamento: un processo inevitabile, che però si può frenare con accorgimenti quotidiani. Da iniziare il prima possibile.
24/06/2014
  • Vincenzo Di Francesco
invecchiamento attivo

Infiammazione, morte cellulare, accumulo di stress e danni da radicali liberi. Quale che sia la causa principale dell’invecchiamento, si tratta di un processo che non si può arrestare ma del quale è possibile rallentare gli effetti. Le prospettive demografiche ed epidemiologiche prefigurano un inevitabile aumento del numero di persone non solo in età avanzata, ma anche in scadenti condizioni di salute. L’intervento sull’attività fisica nella popolazione potrebbe allora rivelarsi molto utile, riducendo la quota di anziani con compromissione funzionali e organiche riconducibili al cosiddetto geriatric quintet: una combinazione perversa di deficit cognitivo, impaccio della motilità, tendenza alla depressione, influenza sfavorevole di fattori socioeconomici, presenza di una o più malattie croniche accompagnate ad assunzione abituale di farmaci.

Una delle conseguenze peculiari dell’avanzare dell’età è la perdita di massa e forza muscolare: si tratta della cosiddetta “sarcopenia”, che compromette in termini organici capacità e funzioni, in termini psicologici e relazionali autonomia e qualità della vita. È un processo che inizia, seppur in modo modesto, già intorno ai 30-40 anni. Parallelamente, e per tutto il corso della vita, si osserva anche un accumulo di adipe. Questo fenomeno, più spiccato nei sedentari e in coloro che hanno cattive abitudini alimentari, può portare al paradosso dell’obesità sarcopenica: pochi muscoli e grasso in eccesso, con ricadute negative sulla salute cardiovascolare e sui carichi per un apparato muscolo-scheletrico spesso già minacciato dall’artrosi.

Ma non aspettiamoci miracoli
Molto si gioca sulla capacità di gestire al meglio la perdita di massa muscolare, iniziando a tenersi in esercizio da giovani o in età adulta, e poi adattando e mantenendo l’impegno a ridosso della vecchiaia. Con un muscolo allenato, infatti, si riduce in modo significativo la probabilità di andare incontro a malattia e disabilità. L’esperienza su un gruppo di cittadini veronesi con oltre 70 anni, dediti spontaneamente a passeggiate in città, indica che si preserva meglio dall’invecchiamento quella fetta di popolazione che si mantiene un po’ più magra e che resta attiva. Il ragionamento vale anche per il contesto cognitivo: le persone che camminano più di tre volte a settimana hanno un vantaggio significativo sui disturbi della memoria e sulla comparsa di demenza. La differenza tra chi segue questa semplice regola e chi la ignora si apprezza ancor di più dopo i 75 anni ed è netta dopo i 90 anni: cioè, proprio in quelle fasce di età destinate a essere sempre più rappresentate in futuro nella popolazione generale.

Pochi, semplici consigli
E allora, che fare? La prima regola, anche in senso cronologico, è incominciare presto. La seconda: non smettere mai. Per chi avesse mancato le prime due, vale comunque la terza: non è mai troppo tardi per iniziare. Bisogna intervenire sulla popolazione matura, seguirla nella senilità e non escludere gli anziani fragili. Questi rappresentano un gruppo molto importante, oltre che crescente come numero, dove anche piccoli interventi possono spostare il loro destino: dalla disabilità all’abilità, dalla dipendenza all’autonomia. La prospettiva non è tanto vivere di più, ma vivere meglio.

È poi importante assecondare il gradimento personale dell’attività svolta, altrimenti si rischia di perdere motivazione e adesione. L’invecchiamento “di successo” è proprio di quelle persone che hanno coltivato l’esercizio fisico prima di tutto perché ne traevano piacere. Ci sono infine le indicazioni da manuale, indubbiamente corrette ma che spesso rischiano di essere percepite come troppo vincolanti, di non essere comprese fino in fondo in presenza di deterioramento cognitivo e di rappresentare un ostacolo in caso di scarsa disponibilità economica.

A tavola
Una vita attiva, specie nell’anziano, deve accompagnarsi a una sana alimentazione. Dal punto di vista quantitativo, con l’avanzare degli anni è fisiologica la tendenza a ridurre l’introito calorico. Se giovani e adulti sono più inclini ad ascoltare la primordiale “voce della mamma” che li spinge a nutrirsi, gli anziani sono invece guidati dalla “voce della moglie”: un freno naturale, che fa loro percepire in modo eccessivo il senso di sazietà (questo fenomeno viene detto “anoressia dell’anziano”). Dal punto di vista qualitativo, non bisogna poi dimenticare che l’anziano di solito mangia peggio: meno vitamine, meno oligoelementi, ma soprattutto meno proteine. Su quest’ultimo punto non si può tacere la responsabilità di una certa - discutibile - cultura medica restrittiva: ridurre le proteine nell’anziano, infatti, favorisce la sarcopenia.

Dal dottore
Un aspetto che può allontanare dalla pratica dell’esercizio fisico è la sua eccessiva medicalizzazione con esami preliminari, come i test da sforzo al cicloergometro. Nulla di tutto questo è necessario nella stragrande maggioranza dei casi. Pena, il rischio di insinuare nell’anziano il dubbio di non essere idoneo o il timore di incorrere in incidenti. È ragionevole pensare che, mentre gli anziani più in forma siano quelli praticanti da tempo e in grado di gestirsi da soli, quelli in situazione più critica (come infartuati o diabetici) chiederanno al proprio medico indicazioni e consigli. La risposta deve essere pronta e risolutiva: sono proprio loro - i più trattenuti dalla paura - quelli che possono guadagnare salute da un esercizio fisico regolare.

Da non sottovalutare infine il problema degli episodi di allettamento. Se guardiamo alla sedentarietà come a una specie di malattia cronica, l’allettamento va considerato come una riacutizzazione: è quanto di peggio può succedere a un anziano. Bastano dieci giorni a letto con l’influenza, per perdere un chilo di massa muscolare: la stessa quota che perderebbe in ben dieci anni di invecchiamento fisiologico. E la successiva capacità di recupero sarà limitata e parziale.

A casa o a spasso?
L’anziano non esce di casa a volte perché non ne ha la forza, ma più spesso perché non ne ha voglia. La depressione è un problema che si acuisce con l’età, però si può controllare e gestire proprio con l’attività fisica. Sempre a Verona, grazie a un’iniziativa congiunta dell’università e della Asl 20, per sei mesi gruppi composti soprattutto da donne anziane hanno effettuato sessioni di cammino due volte a settimana. Una frequenza e una durata dell’intervento relativamente brevi sono state sufficienti a ottenere un miglioramento del tono muscolare, dell’elasticità delle arterie e della velocità del passo. Ovviamente è un successo frutto anche dell’occasione di incontro e socializzazione. L’importante è non perdere opportunità simili per colpa di una progettazione “ostile” delle città. Per esempio, la disponibilità di spazi verdi può innescare un meccanismo virtuoso di promozione dell’attività fisica. Lo ha dimostrato in modo chiaro lo studio 45 and Up: dall’incrocio dei dati sulla quantità di esercizio fisico praticato da adulti e anziani con la quota di aree verdi raggiungibili nel raggio di un chilometro dalla propria casa, emerge in modo netto che coloro che abitano in quartieri ricchi di parchi e giardini hanno una maggiore propensione a praticare sport e moto.


Vincenzo Di Francesco è responsabile della divisione di Geriatria dell’Azienda ospedaliera universitaria integrata di Verona. Si occupa degli aspetti gastroenterologici e nutrizionali del paziente anziano, e del ruolo della nutrizione su rischio cardiovascolare e disabilità.

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